Da Alitalia per l’arte, Roma A.2004 - di Renato Civello
Sciamè: classicismo di rottura

 


V. Sciamè, in questa mostra che suscita ammirazione per la sua inventiva, la sua freschezza e anzitutto per la sua corretta filologia espressiva, testimonia il più saldo accordo della misura classica e degli umori più accreditabili dell’estetica contemporanea.

Anche lui ripropone, in chiave attuale, il rappel à l’ordre, reclamato, sul finire del secolo scorso, da Dunoyer de Segonzac; e poi, negli ultimi anni quaranta, da Brianchon; e da noi, nel corso del secondo cinquantennio del Novecento, da Rosai, da Purificato, dallo stesso Guttuso e, magari per iperbole, dall’iperrealismo sciltianiano. Vincenzo Sciamè può dunque considerarsi schierato decisamente con coloro che nella loro opera cercano di contrastare il ‘massacro dell’arte’. La sua gamma smagliante che, come dice Turi Sottile, risente ‘della luce accecante, irripetibile, che modifica e accende con prepotenza i colori’ e la sua struttura compositiva, ardita e castigata a un tempo, intramata d’inquietanti ma sempre creative fratture, disposta al suggerimento simbolistico ma per nulla svincolata dal rapporto oggettivo, dichiarano un linguaggio apertissimo, ma incardinato ai valori irrinunciabili della sintassi professionale.

La splendida serie degli oli su tela de I fiori del lago, ci parla di un poetico sortilegio rispettoso della disciplina linguistica: il melograno spaccato nell’incanto di un tramonto onirico, il corimbo verticale dei petali dischiusi, la misteriosa epifania dei rami di una palma in un cielo notturno dietro uno schermo rosso, le vellutate allusioni alle grandi ali che vinceranno gli spazi , sono gli ‘accidenti’ di un pittore di razza che scavalcano la cronaca per diventare ‘evento’ universalizzandosi.