I FIORI DEL LAGO

 

L'oggetto dell'emozione, il suo termico anello di colore, i giochi della trasparenza dettati dalla fantasmagoria del ricordo, prendono origine da quest'ultimo manipolo di opere firmate da Vincenzo Sciamč. Qui, sia cuore, sia occhio, sia tatto, affiorano da un continuo rimescolamento dei dati di ricezione in apparenza pił tangibili: conchiglie, pianoforti, frutti, ceramiche, alberi, sanguigne melagrane, nautili cristallizzati, il tutto disciolto in un inventario forte e suadente, a volte invaso dall'onda di un acuto desiderio di ritorno, alla conquista del visibile atemporale, dell'analisi di quelle icone dello spirito (e della memoria) che hanno accompagnato, per lungo tempo, l'attivitą pittorica di Sciamč. Oggi, con acuta prestanza nei confronti del pigmento, l'artista siciliano (da alcuni decenni attivo tra Velletri e Roma) impone la sua tensione retinica; tenta di abbandonare ogni riferimento didascalico, ogni pura narrazione, per giungere al magma primario del sentire. Fin dagli anni Settanta e Ottanta, quella che era stata l'esigenza alta della sua figurazione s'č andata, a poco a poco, divincolando dal puro riferimento, per essere perfusa da una sorta di fluviale ingerenza delle sensazioni: le cittą, le figure, i volti, sommersi dalle acque, avevano spalancato le porte dei loro "interni", dove pareti, finestre o il rosso denso dei pavimenti, accoglievano simboli e citazioni del suo itinerario trascorso. Tutto questo veniva confezionato con un impeto tenace, costruttivo, con un occhio sempre proteso all'architettura visiva, al piano di taglio della visione, all'impostazione spaziale. La ricerca attuale pone l'oggetto pittorico di Sciamč sul piano d'una rarefazione iconica, di una sempre pił vasta commistione cromatica, alla ricerca, pur nell'osservanza di un personale ordine spaziale, dell'informale disposizione della materia. Laghi rossastri, chiazze, punteggiature, riflettono chiarori, camminamenti celesti, gialli riverberi, tutti sovrastati dalla cupa densitą del nero o dalla corrente impetuosa dell'azzurro o dal rasserenato disciogliersi di umori, piante, germogli, schiusi nei gorghi silenti delle vaste polle invernali. Anche i supporti offrono le loro naturali tensioni (tela, carta, legno); i pigmenti, come in una lavagna cromatografica, denunciano la loro sequenza, la necessitą dell'artista a raccontare quali emozioni rientrino nell'alveo di uno specifico colore, quasi in una urgenza (soltanto per alcune tangenti) di frammentazione optical. Poi ogni cosa sembra dissolversi nella distesa di un ricordo dove la realtą pigmentaria, che porta il marchio della Terra di Sambuca, del Lago Arancio, della lunga distesa di alberi, dell'odore aspro di zolle, delle pietre arcaiche tra gli scavi misteriosi di Adranone, costituiscono umori e tensione, nascosti nello strato germinativo della sua espressione. Il rosso, comunque, domina su tutto, magma e sanguigno elemento, fuoco, struggente nascita e declino del sole, fino all'incessabile sostanza delle acque. Un mondo che appare lambito, in forma di metafora, dal refrigerio della rammemorazione, dall'urto caldo e deflagrante della malinconia.

 

 

                                                                                                                              Aldo Gerbino