I luoghi del Gattopardo - Bent Parodi

 


Il Saturnino sembra essere la cifra artistica più cospicua di Vincenzo Sciamè, una dimensione spiccatamente melanconica – quella di Saturno, appunto - che è in buona parte alle origini del suo fare arte e che tuttavia per ciò stesso attinge alle vertigini d’una visione metafisica dell’esistenza.

Pittore, scultore e disegnatore, nativo di Sambuca nel profondo Agrigentino, Sciamè ha scelto da tanti anni di vivere tra Velletri e Roma, città cosmopolita che meglio si addice ad un più libero svolgimento della sua produzione artistica. Intellettuale raffinato ed al contempo inquieto, alla perenne ricerca d’un supremo perché delle cose, ha maturato esperienze internazionali esponendo in prestigiose gallerie che lo hanno consacrato artista mitteleuropeo, guadagnandogli crescenti consensi di critica e pubblico.

E tuttavia, ancorché ben consapevole delle proprie radici mediterranee (ama tuttora trascorrere lunghi periodi di quiete estiva nella natìa Sambuca di Sicilia), Vincenzo Sciamè si realizza in una proiezione onirica sul mondo.

Ne “I luoghi del Gattopardo” ripropone con straordinaria suggestione onirica i volti di Fabrizio Salina, di Tancredi Falconeri e dell’amata Angelica con il famoso ballo ed una serie di scorci e studi, cui non è estranea la stessa villa Piccolo. Come il pino secolare e la casa museo in dimensione lunare.

Sciamè si conferma anche in questo impegno talento virtuoso e dalla vena spiccatamente melanconica e trasognata. Le sue opere caratterizzate da una perenne inquietudine, alla perpetua ricerca di un supremo perché delle cose, svelano l’ansia di attingere alle vertigini di una coerente visione metafisica dell’esistenza nel solco di una radicata tradizione così tipica dei grandi intellettuali siciliani. Era quindi fatale che Vincenzo Sciamè dovesse, presto o tardi, confrontarsi con Tomasi di Lampedusa che di questa temperie tutta isolana è stato interprete universalmente noto. Anche il suo caratteristico gusto per i colori accesi, soprattutto per il rosso cupo di vulcanica memoria (l’Etna con la sua lava non è forse essa stessa un archetipo dello spirito?) costituisce la cifra di un pittore che sa trasformare la realtà in sogno ed il sogno in realtà. Valgano per Sciamè le considerazioni svolte al suo tempo da William Shakespeare che nella “Tempesta” affermava: “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, equazione più tardi sancita in Spagna da Calderon de la Barca, “La vida es sueno”.

E che la dimensione onirica sia la più vistosa componente della personalità artistica di Sciamè risulta evidente in tutta la sua produzione complessiva che riassume i temi forti dell’antica sapienza mediterranea e greca, saldamente incentrati in una visione interiore della realtà: le aporie del reale, contraddizioni che possono risolversi soltanto nella superiore dimensione del simbolo, del mito e del rito ad esso connesso.

Egli riassume in una rappresentazione simbolica lo spirito profondo della Sicilia, cosmo in sé conchiuso che vide vivo il pensiero di uomini come gli agrigentini Empedocle e Pirandello e il paradossale Gorgia da Lentini. E ancora il soffermarsi sulle figure femminili, in questo caso Angelica nella raffigurazione datane da Claudia Cardinale, che anche nella lettura lampedusiana riflette un archetipo primordiale della spiritualità mediterranea, rievocando la mitica Grande Madre siciliana.

Artista di indiscusso spessore metafisico, Vincenzo Sciamè non è dunque solo un pur nobilissimo costruttore- in senso forte- di valori estetici. La sua creatività dello spirito si riflette nel mondo e per il mondo con il tramite di una disincantata contemplazione che nel sogno recupera la sua cifra più autentica. Né può far meraviglia poiché quella onirica è un’attività fondamentale dell’agire umano contraddistinto esso com’è dalla capacità di creare un flusso ininterrotto di immagini vivide che tutte discendono dal mundus imaginalis postulato dal grande orientalista Henry Corbin.

E ciò che più conta, rifacendomi ad una precedente presentazione di opere di Vincenzo Sciamè, non è sognare dormienti, bensì sognare da svegli ad occhi bene aperti. Ed in ciò è la grandezza dell’uomo pensante poiché chi sogna da sveglio è un uomo che è sveglio, che ha dunque una coscienza profonda, assolutamente avvertita, capace di cogliere la percezione del mondo più profondamente reale.

 

 

                                                                                                                              Bent Parodi di Belsito
Presidente Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella