IL GATTOPARDO
Era la primavera del 2001 quando mi aggiravo per le sale della Pinacoteca di Brera a Milano e mi soffermavo davanti al celebre “Il Bacio” di Francesco Hayez. Ero lì, sulle tracce dei possibili incontri tra Luchino Visconti e i suoi dipinti preferiti, quelli che gli avrebbero suggerito atmosfere, ambientazioni, gesti, costumi, acconciature. E tra i dipinti prediletti c’era sicuramente “Il Bacio”, che ritornava anche ne “Il Gattopardo”. Nel Book Shop del Museo, “Il Bacio” era su tazze, rubriche, album, gadget di vario tipo, era insomma l’icona laica più ricorrente. Tornata ad Ariccia, proposi all’Architetto Francesco Petrucci, Conservatore del Palazzo e curatore in primis della mostra alla quale stavo lavorando “Visconti e il Gattopardo. La scena del Principe”, di richiedere il dipinto. Io mi stavo occupando in specifico del settore arti figurative, cercando di individuare le possibili suggestioni che dalla pittura erano transitate nelle immagini filmiche de “Il Gattopardo”. “Il Bacio” arrivò, e vederlo esposto in uno dei saloni dello splendido Palazzo Chigi, lì dove erano stato girate tante scene del film, mi procurò non poche emozioni. Curare il mio settore mi aveva indotta ad un lavoro lungo e solitario, in casa, facendo scorrere in continuazione la videocassetta del film, e in biblioteca, a sfogliare innumerevoli cataloghi e monografie. L’esito era stato la sezione della mostra “L’arte figurativa e Il Gattopardo di Visconti, presenza, citazione, ispirazione”, con relativo saggio in catalogo, e, soprattutto, era stato avere lì quel quadro, e poter andare ad ammirarlo per cercare di scoprire, tra le seriche vesti di Giulietta, il mistero della pittura. Era l’autunno del 2003 quando l’amico pittore Vincenzo Sciamè, che seguo come critico ormai dal 1988, quando lo presentai in catalogo per la prima volta nella personale alla Gallerie de la Maison de L’Italie a Parigi, mi invitò a studio e mi pose davanti la sua Angelica. Era il primo di una serie di disegni che stava realizzando ispirandosi a “Il Gattopardo”, tra il testo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il film di Visconti. C’era poi un primo dipinto che si ispirava ai luoghi originari della famiglia Tomasi, era il Giardino delle jucche di Palazzo Filangeri Cutò di Santa Margherita di Belice, il palazzo che era appartenuto alla famiglia della madre di Giuseppe Tomasi. Già da tempo “Il Gattopardo” era al centro degli interessi di Vincenzo, siciliano verace anche se, come tanti siciliani, emigrato verso il Continente. In Sicilia tuttavia egli torna ogni anno, per periodi abbastanza lunghi. Del resto lui la Sicilia se la porta sempre dietro, nei suoi quadri che ne hanno tutto il “sapore”: il rosso e il nero sono intensi come quelli della lava che scorre e che si raffredda; il blu intensissimo rimanda alle notti isolane; le piante sono spesso palme, magnolie, jucche… Seguendo il progredire del lavoro, ecco il Principe, don Calogero, Tancredi, padre Pirrone e le ville ed i palazzi siciliani, da Palermo a Palma di Montechiaro. E’ indubbio che i personaggi erano tratti dal film, e pertanto avevano le fattezze di Claudia Cardinale, Burt Lancaster, Paolo Stoppa, Alain Delon e Romolo Valli, ma, allo stesso tempo, non erano più loro. Sottratti allo star system erano diventati i “veri” personaggi de “Il Gattopardo”, quelli che potevano essere usciti dalla penna di Tomasi di Lampedusa. E’ pur vero che Visconti aveva trasformato gli attori in personaggi, ma non aveva azzerato, né l’avrebbe potuto o voluto, l’indubbia loro personalità, che costituiva l’anima del loro avere il physique du rôle. Ma qui Sciamè aveva operato una nuova alchimia e, superando l’attore, aveva dato corpo al personaggio. E lo aveva fatto attingendo alle proprie peculiarità stilistiche caratterizzate, oltre che dal colore vivacissimo, soprattutto dai tagli compositivi, dall’isolamento del particolare e dal gioco degli spazi. Dalla pittura di Hayez all’immagine del film di Visconti e dal questa alla pittura di Sciamè per trovarvi una iconografia per “Il Gattopardo”. Davanti a quell’Angelica, mi sono sentita come davanti a “Il Bacio”, cercavo risposte a domande inespresse. Il film di Visconti mette in scena il testo del romanzo, il dipinto di Sciamè è un frammento lirico suggerito dal testo e/o dal film e, come ogni poesia, parla le mille lingue dei mille fruitori, ognuno dei quali vi trova quella millesima sfumatura che il cuore gli suggerisce per ricrearsi il “suo” personaggio.
Stefania Severi