NELLE STANZE DELLA MEMORIA
Mi è capitato tra le mani un prezioso libretto d'artista, Stanze della memoria: quattro poesie di Gillo Dorfles e quattro incisioni di Cosimo Budetta con prefazione di Mario Lunetta. Il ripensare alle ultime opere di Vincenzo Sciamè è stato immediato. Erano circa due anni che andavo seguendo la genesi del suo lavoro "nelle stanze della memoria". Nel libretto ho trovato una poesia che mi ha colpito, Tre manichini neri, nella quale vi è la fascinosa descrizione di tre manichini senza testa: "Non cervello / non cuore / Non volto / non sesso / Solo un simbolico petto / Unico e sodo". Così il finale. Ma io ho pensato che, forse, un cuore quei manichini l'avevano, se non altro per l'aver suscitato nel poeta i suoi versi. Perchè le stanze ritornano nell'opera poetica e in quella pittorica? La stanza è il luogo dove ci fermiamo, ci isoliamo e dove riposiamo. Queste sono le funzioni di questo luogo chiuso e circoscritto che ha quasi sempre una velanza positiva. Ricordate la "piccola stanza di legno" che era La casa di Mara (Aldo Palazzeschi)? E ricordate come «sonavan le quiete stanze» al canto della leopardiana Silvia? E chi non ha sognato con Il cielo in una stanza, la canzone di Gino Paoli che è ormai un classico della musica moderna italiana?
Ma torniamo, dopo tanto divagare, alle "stanze" di Vincenzo. Del resto, il divagare dall'opera pittorica a quella poetica a quella musicale, e viceversa, non deve essere considerato un percorso alternativo bensì parallelo. Sono talora proprio i dipinti a stimolare la fantasia di colui che riguarda: l'immagine dipinta è il tramite per la divagazione personale. Se ci vuole l'animo di un poeta o di un artista, pensiamo a De Chirico, per far emergere la poesia di un manichino, non è necessario essere artisti nè poeti per sentire la "poesia" nelle opere di Vincenzo Sciamè. Se c'è un dono che i dipinti di Sciamè ci riservano è quello di offrirsi a noi come altrettanti componimenti poetici. Sfogliamo dunque "nelle stanze della memoria" e vi troveremo sonetti e madrigali, canzoni e ballate.
Le stanze hanno la dominante rossa, quel colore di sole - sangue - martirio - amore che da anni condiziona l'universo dell'artista. Dalle "finzioni di rossi silenzi" a "le ore dei desideri" fino alle ultime stanze della memoria, quel rosso tormenta e vivifica l'opera di Sciamè rivelandone l'anima profonda. Nelle stanze, rossi sono le pareti ed il pavimento così da costituire una scatola magica nella quale si manifesta l'accadimento.
L'accadimento è lì: la foglia morta, la farfalla, l'uovo, la corda, la conchiglia, la perla, la palla... segnali minimali che amplificano il loro ventaglio semantico riverberandosi nel rosso dello spazio. "Isolato tra la folla della mia solitudine, vorrei dipingere infiniti spazi vuoti. Questa conchiglia, sola come me, ancora pregna del profumo di Afrodite, mi porta il lontano canto delle sirene del mio mare africano".
Così Sciamè appunta tra i suoi schizzi. Ed ancora: "Una foglia secca, staccata dal ramo, continua ad esistere da nomade trasportata dal vento...lontana dalle altre foglie e dal suo ramo si sente libera e sola".
La rigorosa impostazione prospettica dei pavimenti rimanda a quel punto di fuga che è segno e segnale del punto di massima concentrazione, del fine ultimo, de "l'ultima stanza dè mortali" (Manzoni).
In queste stanze una parete talora si anima, si apre in un paesaggio che è anch'esso della memoria. La parete è l'esatto equivalente della siepe leopardiana. "Di là da quella", il pensiero finge "interminati spazi", "sovrumani silenzi", "profondissima quiete": un giardino di palme; una collina cangiante alla luna, al tramonto infuocato, all'aurora dalle rosee dita, alle nuvole del giorno; un luogo, Velletri, che parla di sè. Questo è ciò che Sciamè si finge, al di là della parete, sulla memoria di estati siciliane, di momenti di natura vissuti intensamente con se stesso, di un vissuto quotidiano nobilitando attraverso, appunto, la memoria. Non c'è l'uomo, al di là della parete, quasi a denunciare una insofferenza verso la cialtroneria del mondo.
Gli artisti sentono profondamente ed anticipano il sentire degli altri.
Sciamè sente il disagio di vivere in un universo che, nel travaglio di fine millennio, va depauperandosi di ideali. Nel tramonto dell'utopia la salvezza sembra recuperabile facendo appello alle proprie forze vitali che, per l'artista, equivalgono al suo mondo espressivo, alla sua arte. Arte e/o Fede, doni sublimi dell'uomo, sono le uniche forze che possono continuare ad alimentare l'uomo. Quanto all'Arte, mai come ora essa assume importanza vitale, mai come ora essa assume quel ruolo che Schopenhauer le ha assegnato: "...ella strappa l'oggetto della sua contemplazione fuori dal corrente flusso del mondo e lo tiene isolato davanti a sè: e quell'oggetto singolo, ch'era in quel flusso una infinitamente minima parte, diviene per lei un rappresentante del tutto, un equivalente del monteplice infinito nello spazio e nel tempo: a questo singolo ella s'arresta: ella ferma la ruota del tempo: svaniscono per lei le relazioni: soltanto l'essenziale, l'idea, è suo oggetto" (Schopenhauer Il mondo come volontà e come rappresentazione trad. Savj-Lopez e De Lorenzo).
Lasciamoci dunque guidare da Sciamè a trovare l'idea. Così, camminando nelle strade affollate e inquinate, quando saremo per calpestare l'ultima foglia caduta, ricordiamoci di quel dipinto dell'artista con la foglia al centro della stanza, ci aiuterà a riflettere ed a vedere il reale con un occhio più pietoso, con quella charitas che è vero amore. Tutti, guidati dall'arte, potremo mutare la nostra stanza in una "stanza" poetica, e potremo far sì che il rumore della città attorno a noi si dissolva in musica: "Gli augelletti dipinti in tra le foglie / Fanno l'aere addolcir con nove rime, / E fra più voci un'armonia s'accoglie / Di sì beate note e sì sublime..." (Angelo Poliziano, Le Stanze per la Giostra, Libro I, XC).
Stefania Severi