C’è nei dipinti di Sciamè tutto il dramma della Medea, visto non certo con una descrizione retorica, con una cronistoria, bensì attraverso sensazioni sempre forti che denotano un temperamento artistico fuori dal comune che trae dal subconscio tutto il dramma che nelle tele viene rappresentato. La pittura di Sciamè è stata accolta ed acquistata da collezionisti di “palato fino”; è chiaro che la grossa massa si è trovata quasi scioccata di fronte a questa pittura di ricerca che esige riflessione.

 

                                                                                                                              Gilberto Madioni
da “ Il Campo di Siena”1974



Vincenzo Sciamè manifesta le sue indubbie qualità d’artista. Nella mostra torinese alla Galleria “Accademia”, sia nelle opere pittoriche, che nei disegni il pittore ha sviluppato il tema della solitudine, della incomunicabilità dell’uomo. “Ognuno sta solo sul cuor della terra…” scrisse Quasimodo conterraneo di Sciamè… I quadri di Sciamè ritornano sullo stesso tema con interpretazioni diverse in un linguaggio pittorico che si amalgama perfettamente con la rappresentazione dell’idea. E l’idea è un concetto etico, o, se si vuole, religioso. Perché l’inquietudine è presente nel nostro tempo.

 

                                                                                                                              Adalberto Rossi
da “Borsa d’Arte”, Torino 1976



Sciamè è un artista sensibile che capta gli ultrasuoni e che avverte con molto anticipo i terremoti ed i mutamenti.
Ne ebbi già la sensazione, diversi anni fa, quando mi trovai di fronte al suo ciclo intitolato “Bradisismo”. Ricordo ancora l’acqua, un’acqua strana, ambigua ed inquietante, un’acqua che sembrava essere un’alchemica combinazione tra i liquidi interni del nostro corpo, della nostra psiche e quelli del mondo esterno, in una continua circolarità tra di essi.
Oggi cosa sta succedendo in questo attuale ciclo delle “Finzioni di rossi silenzi”? Certo sta succedendo qualcosa di importante anche se si presenta con piccoli segnali. Meglio sarebbe dire che si ha la sensazione di un mutamento, meglio una “mutazione” in atto….. Ed è ancora una volta un artista abituato com’è ad ascoltare piccolissimi suoni, quelli che quasi tutti non si fermano ad ascoltare, che si accorge che sta succedendo qualcosa di insolito.
Forme semplici, quasi moduli primi ed elementari triangoli, sfere, forme d’uovo, linee curve, restano come attori tesi, fermi ancora un attimo con le loro ombre inquiete ed appiccicate. Subito dopo ci sarà la temuta o liberatoria metamorfosi? Le ribalte vuote ma ansiose introducono verso fondali che sono il vero luogo della finzione drammaturgica.
Queste forme semplici ora si compongono e proliferano su se stesse: il triangolo si fa rombo e si fa aquilone stanco ma già aggressivo per quelle tracce di giallo che appaiono improvvise come l’apparire improvviso dei denti.
A volte la ribalta si decora di storiche memorie ed introduce a mutamenti che abbracciano le costruzioni della storia nostra, come la cupola, così come la natura stessa, quella luna sottile ed obliqua.
Poi con grande intensità un “pianoforte” – “vela” si avvia verso un mare mutato.

 

                                                                                                                              Testimonianza di Ennio Calabria – Palazzo Valentini, Roma – 1986